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Absentia - Absentia -

Absentia

“The monsters of the mind are far worse than those that actually exist."

Christopher Paolini

Absentia è un viaggio emozionale a passo di danza. A cavallo tra le alienanti distorsioni di una mente travagliata e il suo tentativo di rimanere ancorata alla realtà, una giovane donna è chiamata al confronto con se stessa, con le proprie paure, l’ansia e la totale perdita di controllo che la pervadono ed estraniano dal resto del mondo durante un crollo emotivo.

IL SOGGETTO

Due occhi si spalancano e guardano verso di noi.

Qualcosa li ha destati: il tuono lontano e un sentimento sottile d’inquietudine, un’ansia, appena percepibile, ma profonda e radicata, che dal ventre comincia ad irradiarsi, conquistando, via via, tutto il corpo. Sconosciuta e non immediatamente descrivibile, sembra gestibile. Sospetta e stranamente profonda, ma gestibile. Per ora.

Il corpo di una giovane donna si muove nello spazio vuoto e buio narrando queste sensazioni, cercando di scoprirle, decifrarle e controllarle.

L’intensità dell’emozione aumenta, e la sua gestione diventa sempre più complicata. Sbalzi d’umore e d’energia cominciano a contrapporsi e l’ansia diventa, a poco a poco, più ingombrante, soffocante e destabilizzante. Il controllo dello stato emotivo comincia a vacillare: una forza nuova prende il sopravvento sul corpo cominciando a gestirne emozioni e reazioni.

Nel tumulto, alcuni rumori cominciano ad affiancarsi a quelli del respiro affannoso, del battito irregolare e dei movimenti convulsi. Una spazzola, i trucchi, la cerniera di un vestito. Sono rumori distinti e identificabili, ma lontani, come il suono della pioggia. Provengono dal mondo esterno e raccontano di azioni precise: la protagonista si sta preparando per uscire di casa. Ad alcuni di questi suoni vediamo cor- rispondere i gesti che solitamente li accompagnano nella vita reale. Sono appena accennati, quasi mimati, ma spezzano, alienanti, l’evoluzione della coreografia impegnata a dar voce al flusso emotivo interiore, sempre più incalzante. Sono echi lontani, simulacri di qualcosa che sta succedendo altrove: è la mente che si prende carico, in modo pressoché automatico, della quotidianità. Nonostante tutto.

Pochi secondi e la giovane donna è pronta per uscire. Sentiamo la porta, l’apertura di un ombrello, una breve camminata sotto la pioggia, passanti noncuranti e macchine che sfilano tagliando, con i loro fari, il buio, anche interiore, che avvolge la protagonista. Il crescendo del pathos e dell’intensità della danza raggiunge livelli sempre più estremi: il gesto si fa sempre più soffocato, mozzato, impedito, smorzato, furioso e non gestibile. La danza diventa una lotta in cui la giovane donna si scaglia, prima di tutto, contro se stessa in un tentativo di reagire ad una forza che non sa come affrontare o contrastare. Anche se ogni tentativo di recuperare il controllo sembra vano, la rinuncia non è comunque ammessa.

Nel momento in cui la protagonista giunge alla festa, il crescendo, ormai all’apice, si blocca bruscamente. L’immagine abbandona lo spazio vuoto della mente, e, in soggettiva, vediamo una porta aprirsi su un salotto. La giovane donna entra e si dirige verso la finestra di fronte a sé, in fondo alla stanza. L’ambiente che attraversa è vuoto, anche se l’audio ci racconta di una festa, intorno, gremita e rumorosa.

A passi incerti, la donna raggiunge la finestra e guarda fuori: il respiro è irregolare e frequente. Pochi secondi e quell’attimo di sospensione rarefatta viene interrotto dal contatto di una mano che poggia sul braccio della protagonista. Vediamo la mano e poi una persona che si posiziona di fronte a noi.

Una frase rassicurante, uno sguardo, un abbraccio e la donna ritrova la realtà: la festa e la gente sono ora dove lo spazio era precedentemente vuoto. Il respiro torna lentamente normale, i battiti del cuore più regolari: il corpo, anche se provato, torna ad essere presente e sotto controllo.

Dall’abbraccio in cui è ancora avvolta, due occhi tornano a guardarci: raccontano una vittoria sì, ma anche l’incredulità di una fragilità nuova, che fa paura.

IL SOGGETTO

Due occhi si spalancano e guardano verso di noi.

Qualcosa li ha destati: il tuono lontano e un sentimento sottile d’inquietudine, un’ansia, appena percepibile, ma profonda e radicata, che dal ventre comincia ad irradiarsi, conquistando, via via, tutto il corpo. Sconosciuta e non immediatamente descrivibile, sembra gestibile. Sospetta e stranamente profonda, ma gestibile. Per ora.

Il corpo di una giovane donna si muove nello spazio vuoto e buio narrando queste sensazioni, cercando di scoprirle, decifrarle e controllarle.

L’intensità dell’emozione aumenta, e la sua gestione diventa sempre più complicata. Sbalzi d’umore e d’energia cominciano a contrapporsi e l’ansia diventa, a poco a poco, più ingombrante, soffocante e destabilizzante. Il controllo dello stato emotivo comincia a vacillare: una forza nuova prende il sopravvento sul corpo cominciando a gestirne emozioni e reazioni.

Nel tumulto, alcuni rumori cominciano ad affiancarsi a quelli del respiro affannoso, del battito irregolare e dei movimenti convulsi. Una spazzola, i trucchi, la cerniera di un vestito. Sono rumori distinti e identificabili, ma lontani, come il suono della pioggia. Provengono dal mondo esterno e raccontano di azioni precise: la protagonista si sta preparando per uscire di casa. Ad alcuni di questi suoni vediamo cor- rispondere i gesti che solitamente li accompagnano nella vita reale. Sono appena accennati, quasi mimati, ma spezzano, alienanti, l’evoluzione della coreografia impegnata a dar voce al flusso emotivo interiore, sempre più incalzante. Sono echi lontani, simulacri di qualcosa che sta succedendo altrove: è la mente che si prende carico, in modo pressoché automatico, della quotidianità. Nonostante tutto.

Pochi secondi e la giovane donna è pronta per uscire. Sentiamo la porta, l’apertura di un ombrello, una breve camminata sotto la pioggia, passanti noncuranti e macchine che sfilano tagliando, con i loro fari, il buio, anche interiore, che avvolge la protagonista. Il crescendo del pathos e dell’intensità della danza raggiunge livelli sempre più estremi: il gesto si fa sempre più soffocato, mozzato, impedito, smorzato, furioso e non gestibile. La danza diventa una lotta in cui la giovane donna si scaglia, prima di tutto, contro se stessa in un tentativo di reagire ad una forza che non sa come affrontare o contrastare. Anche se ogni tentativo di recuperare il controllo sembra vano, la rinuncia non è comunque ammessa.

Nel momento in cui la protagonista giunge alla festa, il crescendo, ormai all’apice, si blocca bruscamente. L’immagine abbandona lo spazio vuoto della mente, e, in soggettiva, vediamo una porta aprirsi su un salotto. La giovane donna entra e si dirige verso la finestra di fronte a sé, in fondo alla stanza. L’ambiente che attraversa è vuoto, anche se l’audio ci racconta di una festa, intorno, gremita e rumorosa.

A passi incerti, la donna raggiunge la finestra e guarda fuori: il respiro è irregolare e frequente. Pochi secondi e quell’attimo di sospensione rarefatta viene interrotto dal contatto di una mano che poggia sul braccio della protagonista. Vediamo la mano e poi una persona che si posiziona di fronte a noi.

Una frase rassicurante, uno sguardo, un abbraccio e la donna ritrova la realtà: la festa e la gente sono ora dove lo spazio era precedentemente vuoto. Il respiro torna lentamente normale, i battiti del cuore più regolari: il corpo, anche se provato, torna ad essere presente e sotto controllo.

Dall’abbraccio in cui è ancora avvolta, due occhi tornano a guardarci: raccontano una vittoria sì, ma anche l’incredulità di una fragilità nuova, che fa paura.

Il corto

Absentia è un cortometraggio di circa due minuti e mezzo.

La protagonista è una giovane donna, di una bellezza semplice e naturale, dolce e forte allo stesso tempo. Abituata a prendere tutto di petto, si trova ad affrontare qualcosa che non avrebbe mai immaginato di poter vivere o provare: disarmata, spaventata e incredula, arriva a perdere la percezione di sé, la sua volontà e il suo controllo. Nonostante tutto, però, non smette mai di lottare.

Lo strumento scelto per dare voce al tumulto interiore della protagonista è la danza, un linguaggio che, proprio per la sua immediatezza, fisicità, forza ed incisività permette al cortometraggio di dialogare con lo spettatore ad un livello che va ben oltre il verbale e la logica per approdare direttamente al piano più intimo ed ancestrale dell’emozionale. L’obiettivo è che lo spettatore possa in primo luogo sentire la lotta interiore della protagonista per poi riuscire a comprenderla in un secondo momento. Compatire (nel senso etimologico del termine, “soffrire insieme”) prima di capire, vivere in prima persona la sofferenza, lo sgomento e la voglia di riscatto per avere poi gli strumenti per capire cosa vuol dire per un individuo vivere un episodio emotivo come quello vissuto dalla protagonista. Nella stessa direzione si muovono anche le scelte stilistiche della regia, in particolare l’uso immersivo della camera a mano sulle scene di danza e della soggettiva prima della scena conclusiva, la scelta di una fotografia altamente emotiva, e quella dell’impianto sonoro fortemente espressivo e avvolgente.

Le parole d’ordine sono immersione e identificazione.

Il corto

Absentia è un cortometraggio di circa due minuti e mezzo.

La protagonista è una giovane donna, di una bellezza semplice e naturale, dolce e forte allo stesso tempo. Abituata a prendere tutto di petto, si trova ad affrontare qualcosa che non avrebbe mai immaginato di poter vivere o provare: disarmata, spaventata e incredula, arriva a perdere la percezione di sé, la sua volontà e il suo controllo. Nonostante tutto, però, non smette mai di lottare.

Lo strumento scelto per dare voce al tumulto interiore della protagonista è la danza, un linguaggio che, proprio per la sua immediatezza, fisicità, forza ed incisività permette al cortometraggio di dialogare con lo spettatore ad un livello che va ben oltre il verbale e la logica per approdare direttamente al piano più intimo ed ancestrale dell’emozionale. L’obiettivo è che lo spettatore possa in primo luogo sentire la lotta interiore della protagonista per poi riuscire a comprenderla in un secondo momento. Compatire (nel senso etimologico del termine, “soffrire insieme”) prima di capire, vivere in prima persona la sofferenza, lo sgomento e la voglia di riscatto per avere poi gli strumenti per capire cosa vuol dire per un individuo vivere un episodio emotivo come quello vissuto dalla protagonista. Nella stessa direzione si muovono anche le scelte stilistiche della regia, in particolare l’uso immersivo della camera a mano sulle scene di danza e della soggettiva prima della scena conclusiva, la scelta di una fotografia altamente emotiva, e quella dell’impianto sonoro fortemente espressivo e avvolgente.

Le parole d’ordine sono immersione e identificazione.

Sponsorship e Partnership

Due sono i filoni principali di partecipazione al progetto da parte di sponsor o partner: il filone cinematografico e quello filantropico.

Per quanto riguarda il primo, dato l’inserimento del cortometraggio all’interno del circuito dei concorsi cinematografici, l’attività di partnersip tecnica o di sponsorship diventano interessanti per tutti coloro che vogliono farsi notare all’interno del circuito degli “esperti” del settore cinematografico e pubblicitario. Aziende produttrici di strumentazione tecnica (camera, lenti cinematografiche ecc), studi di posa, scuole di danza, sono solo alcuni degli attori che potrebbero ottenere un’ottima visibilità attraverso la partecipazione al progetto.

Per quanto concerne il secondo filone, invece, il cortometraggio si ripropone di affrontare un tema molto forte e attuale, cercando di metterlo in primo piano, di dargli spazio e risalto, raccontandolo. Chiunque fosse interessato a sostenere un intervento di questo tipo o una associazione precisa a cui il cortometraggio potrebbe essere concesso in utilizzo gratuito, potrebbe entrare nel progetto come sponsor o partner contribuendo economicamente alla sua realizzazione.

Sponsorship e Partnership

Due sono i filoni principali di partecipazione al progetto da parte di sponsor o partner: il filone cinematografico e quello filantropico.

Per quanto riguarda il primo, dato l’inserimento del cortometraggio all’interno del circuito dei concorsi cinematografici, l’attività di partnersip tecnica o di sponsorship diventano interessanti per tutti coloro che vogliono farsi notare all’interno del circuito degli “esperti” del settore cinematografico e pubblicitario. Aziende produttrici di strumentazione tecnica (camera, lenti cinematografiche ecc), studi di posa, scuole di danza, sono solo alcuni degli attori che potrebbero ottenere un’ottima visibilità attraverso la partecipazione al progetto.

Per quanto concerne il secondo filone, invece, il cortometraggio si ripropone di affrontare un tema molto forte e attuale, cercando di metterlo in primo piano, di dargli spazio e risalto, raccontandolo. Chiunque fosse interessato a sostenere un intervento di questo tipo o una associazione precisa a cui il cortometraggio potrebbe essere concesso in utilizzo gratuito, potrebbe entrare nel progetto come sponsor o partner contribuendo economicamente alla sua realizzazione.

Esistono dei momenti, nella vita di una persona, in cui tutto sembra andare nella direzione sbagliata, in cui tutto, nonostante gli sforzi, sembra bloccato e irrealizzabile, da qualsiasi punto di vista lo si guardi.
Sono quelli i momenti in cui un solo evento traumatico ha il potere di innescare una spirale discendente in grado di far crollare l’intero castello di carte che, fino a quel momento era riuscito a mantenersi in piedi, seppure in equilibrio precario.
Lo stress, la stanchezza e la frustrazione si mischiano al peso soffocante delle aspettative, al senso di fallimento nei confronti di progetti e aspirazioni che avrebbero dovuto realizzarci come individui e la paura, con tutto il corollario emotivo ad essa associato e associabile, riesce a prendere il sopravvento.
Tutto, l’io in primis, viene rimesso in discussione e ciò che, di più importante, sentiamo scivolar via è il controllo. Dei propri pensieri prima e del proprio corpo poi.
Allora c’è il tutto e il niente, il caos e il vuoto, l’impeto e l’immobilità, la disperazione e l’apatia. Tutto convive, tutto esiste. Quello che manca è la realtà.

Quello che manca è l’io.

 

Absentia

Esistono dei momenti, nella vita di una persona, in cui tutto sembra andare nella direzione sbagliata, in cui tutto, nonostante gli sforzi, sembra bloccato e irrealizzabile, da qualsiasi punto di vista lo si guardi.
Sono quelli i momenti in cui un solo evento traumatico ha il potere di innescare una spirale discendente in grado di far crollare l’intero castello di carte che, fino a quel momento era riuscito a mantenersi in piedi, seppure in equilibrio precario.
Lo stress, la stanchezza e la frustrazione si mischiano al peso soffocante delle aspettative, al senso di fallimento nei confronti di progetti e aspirazioni che avrebbero dovuto realizzarci come individui e la paura, con tutto il corollario emotivo ad essa associato e associabile, riesce a prendere il sopravvento.
Tutto, l’io in primis, viene rimesso in discussione e ciò che, di più importante, sentiamo scivolar via è il controllo. Dei propri pensieri prima e del proprio corpo poi.
Allora c’è il tutto e il niente, il caos e il vuoto, l’impeto e l’immobilità, la disperazione e l’apatia. Tutto convive, tutto esiste. Quello che manca è la realtà.

Quello che manca è l’io.

 

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